Stili di leadership nell’attuale assetto ibrido: il traguardo collaborativo
Nel mondo post-Covid si attestano scenari ibridi, segnati da un mix di presenza fisica e presenza da remoto. Come cambiano gli stili di leadership nella nuova realtà di lavoro? Ce ne parla la consulente HR e formatrice Deianira Ciampitti.
Dr.ssa Ciampitti, l’esperienza della pandemia ha mostrato le caratteristiche dell’attuale mondo - e mercato - “ VUCA ”: Volatile, Incerto, Complesso e Ambiguo. Come cambia, se cambia, il ruolo del leader aziendale in questo contesto?
In realtà il ruolo del leader era già in trasformazione da prima della pandemia: pensiamo all’impatto dei processi di globalizzazione, o al dinamismo portato dalla digitalizzazione. Tutti questi aspetti chiedevano da tempo una riflessione matura sui tipi di leadership più appropriati al mutato contesto, e un cambiamento di approccio alla gestione delle persone da parte dei leader. Senz’altro il Covid-19 ha accelerato il processo di trasformazione, e siamo entrati in uno scenario - dapprima emergenziale - in cui le mura fisiche di casa “si sono messe in mezzo”.
Questo cambiamento ha richiesto uno sforzo non indifferente soprattutto da parte di chi, guidando i team, in passato ha storto un po’il naso rispetto a idee come l’intelligenza emotiva o la leadership collaborativa. Si tratta di concetti che, soprattutto in passato, quasi intimorivano i leader tradizionali, portati a un approccio di gestione dei team più “direttivo” e più orientato allo schema “command and control”. Per affrontare la situazione pandemica è stato necessario uno sforzo molto rilevante e la riflessione su tipi di leadership adatti alle circostanze è divenuta più urgente. Lo switch è ancora in atto, ma ha finalmente attestato stili di leadership disposti a riflettere su diversi schemi di relazione e di gestione dei gruppi di lavoro.
L’impatto del Covid-19 ha senza dubbio dato impulso a questo processo. Ma va ribadito che non è ancora finita: ingaggiare e mantenere motivate le persone deve ancora essere considerato come un traguardo da conquistare, e a cui ogni buon manager deve tendere. Nel corso della pandemia è comunque accaduto qualcosa di molto significativo: possiamo chiamarla una sorta di “crisi interiore” delle persone. Che si è portata dietro una nuova disponibilità a re-interrogare ciò che prima si dava per scontato. Questo ha contribuito a mettere in discussione la leadership tradizionale e ad essere più aperti verso tipi di leadership basati su presupposti diversi rispetto al passato.
Nell’attuale assetto ibrido si discute sempre più di “nuovi stili di leadership”. Rispetto alla leadership tradizionale, quali indicazioni possiamo dare a un manager per garantire il benessere e la produttività dei team aziendali?
La leadership tradizionale è essa stessa caratterizzata da vari stili. Uno su tutti, come dicevo, si rifà al modello “command e control”: il gruppo è organizzato in una gerarchia piramidale e severa in cui il capo sta al vertice ed esercita il controllo sui sottoposti. In questo paradigma la verifica della presenza della persona è considerata una riprova della produttività del dipendente. Per questo sono gratificate le ore supplementari di lavoro, indipendentemente dagli obiettivi e come garanzia di “buona volontà” del lavoratore: spesso a scapito delle sue esigenze personali e del rispetto del suo tempo di vita.
In questo modo si lavora nel segno di una disponibilità estrema, nel tentativo di essere considerati indispensabili agli occhi di chi comanda. Questo tipo di stile ha avuto tempo sufficiente per mostrare tutti i suoi limiti, che sono letteralmente esplosi durante la pandemia. L’assetto ibrido (segnato cioè da forme miste di presenza fisica e presenza da remoto) ha reso chiara l’esigenza di un cambiamento di marcia, incoraggiando il transito verso un approccio agile e smart. Dobbiamo però intenderci su cosa questa parola voglia davvero dire.
Innanzi tutto, si lavora per raggiungimento di obiettivi: il manager dovrà organizzare uno schema di scopi per il team e con il team, fornendo strumenti utili per il loro raggiungimento. Il paradigma smart si basa su due elementi poco valorizzati nella leadership improntata al controllo: la fiducia e l’ascolto della persona. Nei gruppi tradizionali spesso valeva la regola “uno vale uno”, come se i componenti del team fossero tutti uguali a parità di competenze. Ora la situazione ibrida ci ha permesso di comprendere come il contributo di una persona sia diverso rispetto a quello di un'altra, di apprezzare come ogni persona abbia un suo stile, le sue peculiarità, capacità, unicità, e che, se dovesse lasciarci, non troveremmo lo stesso approccio.
Ciò diventa ancora più importante quando si parla di talenti, professioniste/i che nel nostro ambiente e in quel determinato ruolo, incidono in positivo sulla performance aziendale e la cui uscita comporterebbe perdite anche sull’umore e l’ambiente di lavoro. Ed è qui che entra in causa la capacità di saper leggere le situazioni e le emozioni.
Per un leader, ingaggiare le persone significa renderle responsabili del raggiungimento degli obiettivi, e non semplici esecutrici di compiti.
In definitiva, lo stile di leadership tradizionale era quello “patriarcale”: una persona gerarchicamente superiore dettava le regole in vista del loro controllo e della loro esecuzione. L’evoluzione degli stili di leadership richiede invece che gli individui siano trattati per quello che sono: persone adulte e autonome. Solo in questo modo potranno emanciparsi, sentendosi responsabili dei propri compiti e motivati a portarli a termine al massimo delle proprie capacità e possibilità. Si potrebbe dire che nel modello collaborativo ogni componente è trattato come un freelance: può lavorare gestendo il proprio tempo in autonomia, perché ciò che conta è il raggiungimento del risultato.
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Quali sono le parole chiave del paradigma collaborativo?
Se dovessimo offrire delle indicazioni a un manager attraverso alcune parole chiave, queste potrebbero essere:
- Concordare gli obiettivi (il che implica gli elementi dell’ascolto e collaborazione)
- Fornire i giusti strumenti, in senso ampio: mettere in condizione le persone di raggiungere gli obiettivi prefissati
- E infine: dare fiducia. Perché la fiducia incentiva le persone a sentirsi responsabili delle loro azioni
Tutto questo incoraggia la nascita di idee e di innovazione. Una famosa citazione ci ricorda che “la mente è come un paracadute, funziona solo se si apre”. Perché questo avvenga, la persona deve trovarsi nel giusto cerchio, nel giusto ambiente, nel giusto sistema di relazioni. E sentirsi libera di esprimere il proprio punto di vista, di offrire il proprio contributo.
A proposito di relazioni e di situazioni sociali: nelle aziende ricorre il problema della qualità delle riunioni. Gli esperti parlano di “riunionite”: troppe riunioni, frustranti, male organizzate, affollate, non efficienti e percepite come una perdita di tempo. Che tipo di soluzioni può mettere a punto un buon leader, specie nelle modalità di incontro ibrido?
Si tratta di una questione importante, perché le riunioni rappresentano la situazione sociale per eccellenza: anche all’interno delle aziende. È indubitabile che nei meeting qualità delle relazioni ed efficienza delle decisioni procedano di pari passo. Per questo, le “riunioni valanga” a cui siamo purtroppo abituati segnalano un problema strutturale, che finirà per minare la motivazione di chi partecipa e - a valle - la salute del processo decisionale. Come cambiare marcia?
Prima di tutto, è necessario chiedersi quanto la riunione sia davvero necessaria rispetto all’obiettivo prefissato, che deve essere chiaro e organizzato per punti già prima che il meeting abbia luogo. La chiarezza dello scopo della riunione è davvero centrale: che cosa voglio ottenere, quali decisioni sono necessarie? La risposta a questa domanda deve essere condivisa con tutti. Il primo trampolino per l’efficacia di un incontro è che gli invitati siano messi in grado di orientarsi.
Un chiaro ordine del giorno degli argomenti permette inoltre di selezionare i partecipanti sulla base del reale contributo che possono apportare al meeting, e ai punti in discussione. Si invita chi è più competente per la singola riunione e per gli argomenti in agenda: questo sì crea coinvolgimento e senso di responsabilità. Gli inviti estesi in modo irrazionale, senza una riflessione preliminare, sono uno dei principali motivi di caos all’interno dei meeting: persone distratte, che fanno altro, che dirottano gli argomenti prioritari e che finiscono per dilatare la durata dell’incontro.
Anche per questo il leader deve “fare da scudo” a tutela del gruppo, capendo se è effettivamente necessaria la partecipazione dei singoli elementi, e individuando chi del team deve davvero essere presente. In questo modo il leader si pone come un punto di riferimento, valorizzando le soft skills e il dialogo aperto con le persone. Ma soprattutto rispettando il
valore del loro tempo
. Questi aspetti sono particolarmente importanti nella fase pre-meeting.
Nella fase in-meeting, cioè nel corso della riunione, è fondamentale far contribuire i partecipanti incentivando la collaborazione e l’apertura, e stimolando il flusso di idee indipendentemente dal ruolo di chi partecipa. Inoltre. I contributi devono essere tracciati e confrontabili con le aspettative e i presupposti dell’ordine del giorno: i meeting servono a prendere decisioni in vista delle azioni, ed è fondamentale evitare digressioni e improvvisazioni.
Una riunione in cui le decisioni vengono rimandate, o in cui si va fuori tema, perdendo il fuoco degli obiettivi, mina la motivazione delle persone e l’efficienza dei processi. Incoraggiare lo scambio è una componente importante, che segna una transizione significativa, perché nella leadership tradizionale parlavano soprattutto i superboss. E addirittura per molti la riunione diventava un’occasione di accentramento dell’attenzione e di attestazione del proprio ruolo.
Nella leadership collaborativa il principio guida è la relazione orizzontale: anche un profilo junior può avere tanto da dire.
Non è tutto: molti pensano che la riunione si concluda dopo che è avvenuta. E invece la fase post-meeting è fondamentale, ed è parte integrante della salute del processo. Dopo la riunione è necessario chiedere ai partecipanti un feedback, vale a dire un riscontro, per “nutrire” (to feed, appunto) il passaggio dalle decisioni alle azioni e per valutare il buon andamento dell’iter collaborativo. Dove è possibile migliorare, cosa abbiamo apprezzato e cosa ci portiamo a casa dopo l’incontro? Il feedback permette di raccogliere stimoli, spunti, idee.
O al contrario di mettere a fuoco fattori che hanno causato perdite di tempo e creato frustrazione. Quella dei riscontri è una fase spesso sottovalutata, eppure cruciale per garantire il miglioramento continuo. Ma serve apertura e disponibilità alla critica: essere leader implica la gestione delle proprie emozioni, riconoscerle, accogliere quelle degli altri. Il vero leader agile incarna il cambiamento che vuole vedere all’interno del proprio gruppo di lavoro. Questa è una regola fondamentale.
In questo scenario, qual è il ruolo assunto dalle tecnologie?
Se garantiscono funzioni appropriate, le tecnologie devono e possono assumere il ruolo di facilitatori. Ad esempio, possono permettere la condivisione fra i membri del team dei micro-obiettivi in agenda e dei materiali connessi, con la possibilità di scambiarsi opinioni senza bisogno di chiamarsi o di inoltrarsi email caotiche e di difficile tracciamento. Queste funzioni permettono tra l’altro di “sfrondare” eventuali punti di discussione secondari già prima delle riunioni, snellendo l’ordine del giorno e quindi riducendo le tempistiche dell’incontro. E ancora: un software nato per la gestione delle riunioni può offrire una chiara visione degli obiettivi in campo, facendo luce sulle priorità. In sostanza:
La buona tecnologia è quella che permette al leader di fare chiarezza e di promuovere questa stessa chiarezza all’interno del gruppo.
Il che si traduce nel poter analizzare velocemente le idee e i contributi, per selezionare e dunque votare l’idea più produttiva in vista della sua applicazione. Il passaggio all’azione diventa così fluido e ben strutturato: bisogna uscire dalla riunione sapendo esattamente cosa bisogna fare e quale direzione va presa. Così si scoraggiano le chiacchiere e le deviazioni, che generano perdite di tempo e conseguenti sentimenti di frustrazione nei partecipanti. È proprio nel frangente decisionale che entrano in causa le emozioni, e l’ausilio delle tecnologie può costituire un validissimo alleato.
Quali sono, per un leader, le insidie da evitare all’interno delle riunioni ibride?
Primo nemico: le perdite di tempo. Sono una grande sostenitrice della necessità di accogliere le emozioni degli altri, il che significa anche saper decifrare la situazione capendo quale soluzione adottare, come può avvenire nel caso di conflitti o di disaccordi in fase di discussione. Soprattutto all’interno di uno scenario ibrido , il leader deve detenere la visione, riuscendo a vedere le cose “dall’alto”, globalmente, in vista degli scopi da perseguire.
Ecco perché devono essere scoraggiate le improvvisazioni e il dispendio di tempo che ne deriva. Il che significa anche tenere sempre presente che la scelta di oggi influenzerà la decisione di domani. Si tratta di una competenza impareggiabile, che richiede molta pratica e comprensione di se stessi: nei modelli agili e “smart” l’autoconsapevolezza è la base. Specie nell’online, quando le dinamiche fisiche possono essere più implicite - penso ad esempio alla lettura delle espressioni dei volti - è decisivo tenere attiva l’attenzione dei partecipanti, coinvolgendo le persone nei processi e nel percorso di messa a terra degli obiettivi.
L’abilità di contenere le deviazioni non deve essere interpretata come una procedura impositiva, ma anzi come la capacità di guidare le relazioni verso uno scopo comune e costruttivo, accogliendo e al tempo stesso troncando sul nascere dinamiche controproducenti.
Come dovremmo immaginarci i leader del futuro, e quali sono le sue previsioni sui futuri trend relativi agli stili di leadership?
Il mio pronostico è che si farà strada una leadership molto più saggia, che forse andrà addirittura oltre la leadership collaborativa al centro del dibattito attuale. Il buon leader dovrà mostrare la capacità di analizzare il contesto, di mettersi in discussione, volendo di concedersi l’imperfezione. E di ammetterla. Un leader illuminato condivide e decide gli obiettivi insieme al proprio team, evidenzia quando non vengono raggiunti ed è capace di mettere in luce anche i propri errori. Proprio come un Primo Ministro del Governo, esso è “primus inter pares”: primo tra uguali.
Credo che nei trend futuri emergerà con sempre maggior insistenza l’esigenza dell’“ascolto attivo” già nella prima linea dei gruppi. Ai leader sarà richiesta riflessione, osservazione, ascolto. Adattabilità. Non più e non solo istinto, impulsività, carisma. Uno stile di leadership umile. E quindi in grado di guadagnarsi spontaneamente, e senza imposizioni, la stima e la fiducia delle persone con l’esempio e con i fatti.